Il Castello di Acquafredda è un’importante testimonianza di struttura fortificata di epoca medioevale, dista 4 Km dal centro abitato di Siliqua e si innalza su di un colle di origine vulcanica sviluppandosi per un’altezza di 256 metri rispetto al livello del mare.
Con un decreto legge del 1993, il sito denominato “Domo Andesitico di Acquafredda”, è stato nominato Monumento Naturale. Dal ritrovamento di una bolla Papale, datata 30 luglio 1238, nella quale Gregorio IX dà disposizioni affinché si provveda a mettere in assetto di guerra le fortificazioni dei giudicati di Torres, di Gallura e di Cagliari, si ritiene, che il castello, inserito nella Curadoria del Sigerro, esistesse già dal 1215, ma è opinione diffusa attribuire la sua costruzione al celebre nobile pisano Ugolino Della Gherardesca, conte di Donoratico, sin dal 1257 in cui divenne Signore della parte sud – occidentale della Sardegna dopo la caduta del Giudicato di Cagliari. Il conte aveva la residenza nel castello di San Guantino ad Iglesias, (ora chiamato Salvaterra) ed il poderoso castello di Acquafredda controllava l’accesso alla città mineraria, ricca di giacimenti di argento, zinco e piombo, fonte di inesauribile ricchezza per Pisa. Caduto in disgrazia, il conte fu imprigionato a Pisa nella torre dei Gualandi poi chiamata “Torre della Fame” dove muore nel 1289. Il castello passa cosi sotto il controllo diretto della repubblica pisana. Le vicende del conte Ugolino sono divenute illustri grazie ai profondi versi di Dante Alighieri nella Divina Commedia: “La bocca sollevo’ dal fiero pasto quel peccator…” che possiamo trovare nel XXXIII canto della Cantica dell’Inferno.
Dopo i Pisani, il castello dal 1326 al 1410 diviene proprietà degli Aragonesi. Oltre tale data probabilmente, la fortezza non viene più abitata e passa, assieme ai terreni vicini, nelle mani di diverse famiglie feudatarie fino a che non viene riscattato nel 1785 dal Re di Sardegna Vittorio Amedeo.
Il Domo Andesitico di Acquafredda presenta svariati motivi di interesse naturalistico: gli aspetti storici, paesaggistici, la geologia, la fauna e la flora fanno di questo luogo un sito naturale di grande valore estetico e di notevole interesse scientifico. Il colle e le persistenti murature che lo sormontano hanno assunto l’immagine di un unicum naturale osservabile dalla piana circostante a 360 gradi; dall’alto del Castello invece, si gode un magnifico panorama delle valle del Cixerri e, nelle giornate serene, dei lontani stagni di Cagliari e del mare, della Marmilla e dell’iglesiente.
La vegetazione è costituita dalla tipica macchia mediterranea con arbusti di lentisco, olivastro, alaterno ginepro ed euforbia arborea, mentre ai piedi del colle si trova un rimboschimento di pini dove sostare per i picnic e le passeggiate. Molte sono le specie di uccelli che popolano l’antico maniero, fra cui il Corvo imperiale, la taccola, il barbagianni, la civetta il gheppio la poiana ed il falco grillaio la cui presenza è sintomatica di habitat incontaminato.
«La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a’ capelli
del capo ch’elli avea di retro guasto»
Con queste parole Dante Alighieri inizia il canto XXXIII dell’Inferno, dedicato alla tragica agonia che portò alla morte del conte Ugolino della Gherardesca, lasciato morire di fame coi figli Gaddo e Uguccione e i nipoti Nino detto il Brigata e Anselmuccio per ordine dell’Arcivescovo Ruggieri che lo aveva accusato di tradimento. Ugolino nel Canto ripercorre lo strazio di veder morire i suoi eredi, fin quando:
«poscia, più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno»
Con questo verso ambiguo, carico di sinistri significati, alcuni vi hanno letto allusioni al cannibalismo, ennesimo mistero che appassiona fino ai giorni nostri.
Ugolino della Gherardesca, conte di Donoratico è stato il più famoso proprietario del Castello di Acquafredda. Nacque nella prima metà del Duecento (1220 ?) da nobile famiglia, padrona di vasti feudi nella Maremma. In Sardegna arrivò nel 1257 circa quando cadde il giudicato di Cagliari (Karales) e divenne padrone del territorio che da Cagliari arriva ad Iglesias, passando da Siliqua (Castello di Acquafredda) e da Villamassargia (Castello di Gioiosa Guardia). Ad Iglesias il suo castello veniva chiamato “San Guantino” (ora Salvaterra). Nella cittadina Iglesiente sfruttò i ricchi giacimenti di argento e piombo. Sebbene di famiglia tradizionalmente ghibellina, nel 1275 si accorda col genero Giovanni Visconti per portare al potere a Pisa il partito guelfo. Scoperta la congiura fu bandito, ma tornò a Pisa l’anno seguente riacquistando autorità e prestigio. Dopo la sconfitta dei Pisani nella battaglia della Meloria nel 1284, assunse la signoria del comune col titolo di podestà. Nel 1288, la parte ghibellina insorse sotto la guida dell’Arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini e delle famiglie Gualandi, Sismondi e Lanfranchi. Accusato di tradimento perché considerato responsabile della sconfitta della Meloria, fu rinchiuso senza processo insieme a due figli e due nipoti nella torre della Muda, poi detta della fame, dove, dopo alcuni mesi di prigionia, tutti e cinque furono lasciati morire di fame nel febbraio del 1289. Il peccato commesso da Ugolino è quello di essersi cibato di carne umana e da qui ha origine la pena, a cui Dante lo condanna, di rodere per l’eternità il cranio dell’Arcivescovo Ruggieri.
Il processo a Ugolino fu celebrato, in una suggestiva ricostruzione storica a Pisa, nel 1989 e il conte fu assolto da tutti i capi di imputazione a suo carico.
Nel 2002, l’archeologo Francesco Mallegni trovò quelli che vennero considerati come i resti di Ugolino e dei suoi familiari. Le analisi del DNA delle ossa evidenziarono che si trattava di cinque individui di tre generazioni della stessa famiglia (padre, figli e nipoti), e ricerche effettuate sugli attuali discendenti dei della Gherardesca portarono alla conclusione che i resti umani appartenevano al 99% a membri della stessa famiglia.
Il medico che seguì la ricerca non crede ci sia stato alcun cannibalismo: le analisi delle costole del presunto scheletro di Ugolino hanno rivelato tracce di magnesio ma non di zinco, che sarebbe invece evidente nel caso in cui avesse consumato carne nelle settimane prima del decesso.
Risulta abbastanza evidente, invece, l’inedia di cui hanno sofferto le vittime prima della morte: Ugolino era un uomo molto anziano per quella epoca (più che settantenne) ed era quasi senza denti quando fu imprigionato, il che rende ancor più improbabile che sia sopravvissuto agli altri e abbia potuto cibarsene.
Inoltre, Mallegni ha sottolineato che il più anziano degli scheletri aveva la scatola cranica danneggiata: se si trattava di Ugolino, si può affermare che la malnutrizione ha peggiorato sensibilmente le sue condizioni, ma non è stata l’unica causa di morte.
Nonostante tutto questo il Conte Ugolino rimarrà eternamente il leggendario conte che da tradizione si mangiò i figli…
Il “Domo Andesitico di Acquafredda” noto come il “Castello di Acquafredda” ha una duplice forte valenza storico – naturalistica.
Il cono su cui è articolata l’antica struttura, si è formato grazie ad una cupola di ristagno di origine vulcanica e di natura andesitica. Si sviluppa per un’altezza di circa 256 metri rispetto al livello del mare, occupa una superficie di 20,88 ettari e dista 4 Km dal centro abitato di Siliqua.
Con il decreto legge n° 3.111 datato 2 dicembre 1993, l’Assessore della Difesa dell’Ambiente stabilisce che il bene, denominato “Domo Andesitico di Acquafredda”, è istituito come Monumento Naturale ai sensi della L.R. 7 giugno 1989, n° 31.
Natura e ambiente del Domo Andesitico di Acquafredda
Il Domo Andesitico di Acquafredda presenta svariati motivi di interesse naturalistico: gli aspetti storici, paesaggistici, la geologia, la fauna e la flora fanno di questo luogo un sito naturale di grande valore estetico e di notevole interesse scientifico. Il colle e le persistenti murature che lo sormontano hanno assunto l’immagine di un unicum naturale osservabile dalla piana circostante a 360 gradi e rappresenta una delle maggiori risorse paesaggistiche della zona. Dall’alto del Domo si gode un magnifico panorama delle valle del Cixerri degli stagni di Cagliari e del mare, della Marmilla e dell’iglesiente e, nelle giornate serene, del lontano Gennargentu. Il Decreto emanato dall’assessore regionale della difesa dell’ambiente, ha sancito l’istituzione di questo monumento naturale sulla base di un’analisi che ha rilevato un alto valore scientifico, estetico e culturale del sito.
Il domo andesitico di Acquafredda si trova nella Piana del Cixerri, insieme ad altre tre strutture vulcaniche allineate al margine meridionale della piana. Nonostante sia la terza in ordine di altezza, il domo lavico di Acquafredda, per la sua forma e per la posizione topografica, è sicuramente la più spettacolare.
Il domo è un geotopo che presenta caratteristiche geologiche, geomorfologiche uniche, e non essendo rigenerabile, ha un valore scientifico biologico estetico, paesaggistico storico-culturale di rappresentatività.
La sua caratteristica struttura deriva dal raffreddamento e dal consolidamento rapido della lava, che, spinta dal basso verso l’uscita di una bocca vulcanica, per la sua viscosità si è ammassata sul posto senza espandersi in superficie. L’attività eruttiva viene da alcuni fatta risalire al Terziario, stimando, per il domo, un’età tra i 27,6 e i 27,8 milioni di anni.
Il carattere di rarità di questo monumento naturale deriva anche dal contesto geologico e paleografico in cui si inserisce. La zona, infatti, viene ritenuta unica in Italia per le testimonianze delle più antiche fasi continentali del Paleozoico
La flora del Domo Andesitico
Per quanto riguarda l’habitat naturale nel quale è inserito, il domo di Acquafredda presenta un ambiente di vita, con particolari equilibri ecologici, diverso dalla zona circostante, costituendo quindi un’entità singolare rispetto all’ambiente pedemontano da cui spunta. Alla base, il colle è circondato da un bosco artificiale di eucalipti e una pineta dove è stata predisposta una zona con tavoli da picnic e sentieri dove compiere belle passeggiate tra cui un Sentiero Natura con la presenza di attrezzi per esercizi ginnici e indicazioni al riguardo. Il colle più in alto presenta una folta tipica macchia mediterranea con ginepro, lentischio, fillirea, alaterno, euforbie e olivastri secolari. Sono presenti inoltre centinaia di specie arboree che nel periodo invernale e primaverile conferiscono al colle delle spruzzate di accesi e particolari colorazioni (nella tabella in basso la classificazione delle specie vegetali sino ad ora recensite).
La Fauna del Domo andesitico
La specifica tipologia della vegetazione del domo permette anche l’esistenza di diverse specie animali. Risulta presente una fauna costituita dalla sempre più rara Pernice Sarda, dal Coniglio selvatico, dalla Donnola, dal Biaco, dal Discoglosso Sardo e da tante altre specie di rettili e insetti. Folta la presenza soprattutto di avifauna rappresentata dagli stanziali Gheppio, Poiana, Corvo Imperiale, Taccole, Piccioni selvatici, pipistrelli e rapaci notturni, e da alcune coppie di falchi grillai presenti nel periodo primaverile che, a forte rischio di estinzione sono sintomatiche di habitat incontaminato. Occasionale poi la presenza dell’aquila Reale proveniente dal vicino Monte Arcosu.
Strutturalmente il castello è composto da più corpi murari articolati su tre livelli, armonici con l’andamento del declino, in modo da creare più linee di difesa e in tal modo da rendere più difficoltoso l’eventuale approccio del nemico.
Il Mastio
Nella parte più alta a quota 256 m s.l.m., si elevano le imponenti murature del nucleo fortificato, il Mastio, abitazione del castellano. L’edificio presentava in origine due piani in elevazione, vi era una terrazza sovrastante e un piano interrato adibito a cisterna (ancora in buono stato di conservazione). Attualmente resistono i prospetti nord-ovest e sud-est e sono alte circa 20 metri, guarnite di merli guelfi. Al Mastio si accedeva dal lato nord salendo una scalinata in pietra che conduceva ad un pianerottolo tre metri sotto il piano del castello, da qui si saliva tramite una scaletta retrattile. Sul muro nord resistono cinque stemmi: uno raffigura l’aquila imperiale, simbolo dello schieramento ghibellino dei Gherardesca, un altro è attraversato da una banda diagonale, gli altri sono stati tutti scalpellati. Di fronte al mastio svetta ancora poderosa la Torre di Guardia (248 m s.l.m.), chiamata dai Siliquesi torre de s’impicadroxiu (torre dell’impicco) dove con molta probabilità fù rinchiuso Vanni Gubetta uno dei traditori del Conte Ugolino.
La torre cisterna
A mezza costa alla quota di circa 200 m s.l.m. svetta la poderosa struttura muraria della torre cisterna, avente forma quadrangolare. Essa non è collegata con le altre unità murarie e risulta essere un corpo isolato. Anche in questa struttura si possono notare l’utilizzo di pietre di medie e piccole dimensioni con presenza media di calce e materiali di rincalzo. Si nota la disposizione di pietrame a “spina di pesce”. L’acqua era un elemento fondamentale per la vita del castello, le cisterne consentivano un’ingente scorta d’acqua. Questa era costituita da tre ambienti collegati fra loro, visitabili internamente grazie ad una scaletta predisposta durante la ristrutturazione del 1999.
Il Borgo
La terza linea difensiva, a quota circa 154 m s.l.m., è formata da una cinta muraria costituita da tre torri. Le due esterne sono gravemente danneggiate ma visibili, in quella al centro ancora in piedi è possibile leggervi una struttura a tre piani con solai in legno. Nella cortina muraria è rintracciabile la presenza di merli di forma “guelfa”, essa proteggeva il borgo vero e proprio, dove si trovavano gli alloggi per i soldati (in parte recuperati nel cantiere di scavo 2005), magazzini per le scorte alimentari, armi ed attrezzi. In questa parte del castello sussiste un enigma: la reale esistenza della chiesa di Santa Barbara probabilmente individuata nel 2005 nella zona della cisterna del borgo dove sono state rinvenute tre sepolture umane.
La struttura muraria presenta almeno due fasi di costruzione, la più antica è realizzata con pietrame del luogo e notevole impiego di calce. La più recente impiega ciottolame fluviale probabilmente prelevato dal Cixerri.
Interventi di restauro
Il castello è stato oggetto di 5 interventi di restauro. Il primo agli inizi degli anni 80, compiuto da una ditta privata, ha interessato la parte superiore (il mastio), con un’opera di consolidamento delle mura rimaste. Il secondo 15 anni dopo sempre compiuto da una ditta privata che ha interessato principalmente il mastio.
Il terzo intervento iniziato nel luglio del 1999, tramite cantiere comunale, ha previsto il ripristino del vecchio sentiero che conduce ai primi corpi murari, nonché il restauro della torre sperone molto danneggiata dall’incuria degli anni, e della cortina muraria esterna. Nelle operazioni di scavo sono state messe in evidenza strutture realizzate completamente in mattoni di laterizi, ubicate sopra la cisterna del borgo. Importante sotto il profilo archeologico, il ritrovamento di un capitello di epoca medievale intatto.
Il quarto intervento iniziato nel settembre 99, tramite ditta privata, ha interessato il restauro della torre cisterna a quota 200 m slm, ora accessibile anche al suo interno tramite una comoda scaletta.
Il quinto iniziato nel novembre 2004, tramite cantiere comunale, ha permesso il consolidamento della cinta muraria del borgo con parziale ricostruzione della merlatura, la pulizia delle abitazioni e delle strutture adiacenti alla presunta Chiesa di Santa Barbara. Durante il cantiere di scavo sono stati trovati 3 scheletri umani che sono ora all’esame degli studiosi della Soprintendenza di Cagliari-Oristano. Il cantiere è terminato nell’aprile del 2005.
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